Linguine alla canapa con crema di cannellini, cozze e pecorino

Eccomi qua. Eccomi dopo un tempo forse troppo lungo in cui ho trascurato il mio amatissimo blog.

Si sono affastellate tante troppe cose tutte insieme, idee vorticose, progetti in corso d’opera.

Passioni da bere però sta silentemente crescendo, il lavoro sta imboccando nuove strade, mi auguro fortunate, e accolgo le occasioni di condivisione, di scambio e di relazione come un dono prezioso.

Oggi voglio ripartire da un incontro. Domenica scorsa ero alla Fiera del Molise a Roma e tra i banchi dei consueti prodotti territoriali – vini, oli, formaggi, miele – mi imbatto in un prodotto che solletica la mia curiosità. Si tratta della canapa sativa.

Vi lascio qui un link per approfondire il tema: http://www.sativamolise.com/

Ho pensato si trattasse di qualcosa di inusuale per me, un ingrediente che non ha ancora trovato un canale d’espressione nella mia cucina.

Dal produttore di MolisHemp scopro che dal seme della canapa nasce un potenziale di prodotti per uso alimentare di grande valore nutrizionale. Ad esempio, l’olio ottenuto da questa pianta presenta un alto contenuto di acidi grassi polinsaturi omega 3, omega 6 ed è ricco di vitamine E, B1, B2, un toccasana per il sistema immunitario, ormonale e nervoso.

Chiedo altre informazioni e vengo introdotta in un mondo fatto di prodotti ricavati dalla farina di canapa: snack sfiziosi, biscotti fragranti, pane, friselle, pasta in vari formati.

Scelgo di portarmi a casa un pacco di linguine. Dal colore ricordano molto i pizzoccheri valtellinesi, al tatto hanno una bella superficie ruvida, una consistenza abbastanza tenace ed elastica in cottura, un sapore più delicato rispetto alle classiche farine integrali.

Non mi restava che pensare a come condire questa pasta del tutto nuova per il mio palato.

Ed ecco l’illuminazione: pasta, fagioli e cozze, un connubio genuino dai tratti molto partenopei che sollecita a mettersi a tavola tutti insieme.

Vi invito all’assaggio!

Propongo in abbinamento un Insolia vino siciliano bianco dall’aromaticità fruttata. L’assaggio è pieno, morbido, ben sostenuto da acidità e da una sottile vena sapida.

Per questo connubio di terra e mare, Valeria suggerisce un Gyokuro, tè verde elegante, dal liquore dolce e sofisticato.

Alba

foto linguine canapa

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Pad Thai con gamberi freschi

Complice il fatto che sabato è stato il Capodanno cinese, molte catene della grande distribuzione organizzata hanno dedicato una sezione decisamente più ampia ai “cibi asiatici”: così ho trovato facilmente delle chicche per le quali, di solito, vado negli alimentari etnici.

Tra queste direi che il bottino più plateale è stato un vasetto di concentrato di tamarindo!
La salsa di tamarindo, con il suo netto sapore acre, è una degli ingredienti principali della cucina indiana e tailandese, ma non è così facile trovarla nei comuni supermercati.

Detto questo, il passo successivo è stato decidere cosa preparare e la scelta è caduta sul piatto probabilmente più famoso della cucina tailandese: il Pad Thai.
Il pad thai è un cibo di strada, cucinato in baracchini ambulanti da abili cuochi su enormi piastre e servito a portar via o con la possibilità di goderselo su un tavolino assieme a ulteriori condimenti e a una bella fetta di fiore di banano. Tradizionalmente si cucina utilizzando gamberetti essiccati e daikon conservato, ma non avendoli, ho sostituito i crostacei con quelli freschi e ho eliminato il ravanello; non ho fatto proprio un’eresia, infatti il pad thai è talmente famoso che in giro per il mondo si è scesi a parecchi compromessi per cercare di adattarlo alle cucine locali: gamberi freschi, pollo o solo tofu sono le varianti più gettonate.

Altro ingrediente fondamentale della cucina tailandese è la salsa di pesce: è il condimento principe di questa cucina e versato praticamente ovunque. Anch’esso non troppo facile da trovare, devo dire che ormai da anni ho raggiunto una mia personale pace sostituendolo con la colatura di alici nostrana: la trovo perfetta e dona una nota italiana ai piatti tailandesi.

Il gusto del pad thai deve essere un perfetto equilibrio tra il salato, l’agro e il dolce: in patria questo equilibrio è tenuto su dei toni molto forti, ma nel preparare la salsa ho cercato di mediare; voi regolatevi secondo il vostro gusto ricordando che nella ricetta tradizionale il salato è apportato dalla salsa di pesce, ma anche dai gamberetti essiccatti e dal daikon conservato che qui mancano.

Per il piccante, come al solito, ho voluto lasciarvi un po’ carta bianca e suggerirvi 3 spezie diverse da poter utilizzare separatamente o in contemporanea per dare una nota più vivace al tutto (p.s.: ovviamente in patria è bello piccante!).

Per gli spaghetti di riso una precisazione: non sono quelli del ristorante cinese! Quelli a cui siamo abituati sono più simili a dei vermicelli, lunghi e sottilissimi, mentre per il pad thai solitamente vengono usati dei veri e propri spaghetti o delle tagliatelle di riso, che vengono ammollati in acqua calda per farli diventare flessibili e molto al dente e così poi cuocerli in padella senza che scuociano. Nei negozi etnici ne esistono di varie fatture e con varie istruzioni (ad esempio i miei andavano proprio cotti in acqua bollente e poi passati sotto l’acqua fredda), ma sono quasi sicura che anche usare della pasta di riso nostrana tenendola molto al dente può regalare qualche soddisfazione.

Come abbinamento provate il pad thai con una bella tazza di tè verde, magari un Sencha giapponese che esalterà il gusto marino del piatto e vi aiuterà a diluire i toni forti della salsa o, se siete amanti del tè nero, con una tazza di Nilgiri che ben si sposerà con il tamarindo.

Alba consiglia in abbinamento un Riviera Ligure di Ponente Vermentino, vino bianco morbido, gradevolmente fresco e sapido.

Valeria

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Lanzhou Beef Noodles

Tra l’avvicinarsi del Capodanno cinese e le temperature massime che sfiorano i 3°C (almeno qui in Emilia) è venuto quasi naturale preparare un piatto che riscaldasse fin dentro le viscere, così mi sono messa al lavoro per cercare di riprodurre una delle pietanze più famose della zona di Lanzhou: il ramen!
Ok, mi rendo conto che molti siano confusi e abbiano subito pensato al Giappone, ma la tradizione della pasta, e in particolare dei tagliolini in brodo, è talmente antica che molti pensano che il Giappone l’abbia mutuata dalla Cina: “ramen” infatti potrebbe essere una traslitterazione di “lamian” il nome di questi particolarissimi tagliolini tirati interamente a mano.
Altro momento di panico…in questa ricetta non vi obbligherò a farvi la pasta in casa, anche perché per produrre dei VERI lamian in stile Lanzhou bisogna essere dei maestri e avere le braccia forti! 😉
L’unica cosa che vi chiedo è di cercare di trovare dei tagliolini per ramen (nei negozi etnici o dal BIO) a base di farina di grano tipo 00 che non siano quelli istantanei (di solito “conditi” con aromi e additivi): la particolarità di questi tagliolini è che cotti propriamente al dente rimangono leggermente “gommosetti”.

Una ciotola di ramen di Lanzhou racchiude, oltre al gusto, storia e filosofia.
La sua particolarità di essere preparata con carne di manzo e non di maiale (come succede molte volte per i tagliolini in brodo) risiede nel fatto che la zona di Lanzhou ha un’alta concentrazione di cinesi di religione mussulmana: nella ricetta originale antica infatti la carne di manzo era affiancata a quella ovina e il sontuoso mix di di spezie ne smorzava il gusto intenso.
Il piatto deve presentare chiaramente diversi colori in modo da appagare anche la vista: il chiaro del brodo, il bianco del daikon, il rosso del peperoncino, il verde del cipollotto e del coriandolo, e il giallognolo dei tagliolini.

Corine Tiah, nel 2015, è una studentessa in Comunicazione di Singapore che partecipa al concorso “Looking China 2015” con un documentario di 10 minuti intitolato “A Bowl of Lanzhou Beef Noodles”: il cortometraggio, tra i migliori presentati, ha un taglio quasi antropologico con le interviste, il cambio culturale, la prospettiva. Il mio consiglio è di prendervi questi 10 minuti e guardarlo: il video è sottotitolato in inglese (quindi niente paura).

Ma torniamo alla nostra ricetta: tutti gli ingredienti sono reperibili in Italia! Io li ho comprati qui! 😉
Il mio consiglio è di farvi un giro, oltre che in un alimentare etnico o dal Bio, anche in erboristeria: quasi tutte le spezie intere si possono agevolmente acquistare in questi negozi e, di solito, a prezzo minore e con una maggiore freschezza.
L’utilizzo del coriandolo fresco non a tutti piace (al mio ragazzo ben che meno) quindi potete anche ometterlo! 😉

E quindi arriviamo al caso del BRODO DI POLLO. Tra gli ingredienti vedrete che c’è 1 litro di brodo di pollo, ma che non ho specificato come sia fatto, questo perché (come avete visto nel filmato) in famiglia si usa quello già pronto, per intenderci quello fatto con il dado (con tanto di glutammato). Per i detrattori questa è una eresia, ma per chi volesse un sapore più “cinese” l’utilizzo del dado per fare il brodo di pollo non è da scartare. Se, per qualsiasi motivo, decideste di non usare quello già pronto, potete prepararne uno utilizzando scarti di pollo o la carcassa del pollo arrosto del giorno prima (non servendo la carne è la scelta migliore).

Infine una nota sull’olio piccante: ovviamente più l’olio rimarrà a contatto con il peperoncino più il gusto sarà intenso, quindi prima di prepararlo regolatevi sulla tolleranza dei commensali e gestite la quantità e l’intensità di conseguenza. (P.S.: se l’olio piccante non piace per niente, aggiungere alla ciotola qualche goccia di olio di sesamo non è una cattiva idea: non sarà tradizionale, ma è molto “cinese”!).

Scegliete in abbinamento un buon tè rosso cinese come lo Yunnan per sostenere la complessità aromatica del brodo e il gusto della carne.

Alba propone in abbinamento un calice di Barbera d’Asti che accarezza il palato con tannini sottili e lo gratifica con un fresco e lungo finale aromatico e ammandorlato.

Valeria

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Calamarata con puntarelle e bottarga

Le puntarelle fanno parte di una grande famiglia quella della cicoria e altro non sono che i germogli della catalogna. Nel panorama gastronomico romano, le puntarelle si prestano solitamente come ingrediente di base per una gustosissima insalata condita con aglio, acciughe e un’emulsione di olio, sale e pepe.

Nella ricetta che vi propongo oggi, questo meraviglioso ortaggio viene ripassato in padella per addolcirne il tratto amarognolo in modo tale da rendere appetitoso l’abbinamento con la bottarga, mentre la cremosità della pasta lega tutto e attenua la presenza stuzzicante del peperoncino.

Il formato di pasta che ho scelto si chiama “calamarata”, appartiene alla trafila dei Paccheri e deve il suo nome appunto alla somiglianza con gli anelli di calamaro.

Infine voglio ricordarvi una piccola accortezza: la bottarga di tonno ha un sapore più intenso rispetto a quella di muggine, quindi cercate di dosare con oculatezza il sale che aggiungerete alla pasta e alle verdure saltate.

Suggerisco in abbinamento un Frascati Superiore, vino bianco dal sorso che appaga per freschezza e salinità.

Valeria suggerisce un Sencha Kagoshima, tè giapponese dal retrogusto dolce che ben si abbina sia al carattere marino che vegetale del piatto.

Alba

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Filetto di trota con verdure e tapenade

Il pesce d’acqua dolce viene spesso snobbato dai buongustai per il sapore “sciapo” delle sue carni, senza però tenere conto che appunto per le sua natura è entrato a far parte di moltissime ricette in cui si abbina perfettamente a ingredienti molto saporiti e a preparazioni più invasive che non si possono applicare alle delicate carni degli altri pesci.

La trota è uno di questi pesci e, visto la facilità di allevamento, è anche molto economico: normale riuscirla a trovare dal vostro pescivendolo già bella sfilettata.

Infine un appunto sul suo essere “salmonata”: il colore arancione delle sue carni è dovuto al fatto che in allevamento le trote mangiano dei “pastoni” in cui possono rientrare farine di gamberi, crostacei e a, volte, carotenoidi.

Nulla toglie però che se avete degli amici pescatori pronti a procurarvi delle belle trote non salmonate, questa ricetta andrà benissimo lo stesso.

(Devo ammetterlo il “finto salmone” fa la sua porca ed economica figura sulla tavola a festa) XD

Abbinate questo piatto ad un Ceylon Oliphant Nuwara Eliya, tè verde occidentale dalle note speziate.

Valeria

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Ceci spezzati con verza

Nell’ultimo mese la mia vita si è fatta più frenetica e decisamente con orari più assurdi (e infatti pubblico oggi :P) e così a volte capita di dover trovare soluzioni più facili per una esistenza più semplice.

Visto l’inverno i contorni e le zuppe di legumi sono una manna dal cielo, e nel vasto panorama commerciale si può contare sui prodotti secchi, congelati, freschi e in scatola. Tra i prodotti secchi un formato non ancora diffusissimo in Italia, ma che io trovo molto comodo, sono i “Dal”: legumi decorticati e spezzati usatissimi in India (io di solito li trovo o al BIO o al negozio etnico)

I Chana dal sono piccoli ceci decorticati e spezzati che non hanno bisogno di un lungo ammollo, nè di una lunga cottura e sono perfetti per zuppe, vellutate e tutte quelle preparazioni dove il cecio non deve per forza rimanere bello integro. L’ apporto calorico è come quello dei ceci: per 100g di chana dal 347Kcal e 22,8g di proteine.

Così eccovi un contorno (ma anche una zuppa volendo) di chana dal con verza dal sentore indiano dato dalle spezie.

Ovviamente per rimanere in tema ho voluto abbinarci una bella tazza di Darjeeling, tè nero indiano che si abbina perfettamente alle spezie.

Alba propone in abbinamento un Grillo, vino bianco fresco e con vivace scia sapida in chiusura.

Valeria

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