Zaru Soba ai funghi shiitake con verdure, uova sode e prosciutto crudo

L’altro giorno ero nel mio supermercato BIO di fiducia e gironzolavo tra gli scaffali cercando qualche idea per combattere l’afa e il caldo assurdo: è così che ho trovato questa soba arricchita con funghi shiitake.

La soba sono degli spaghettini di grano saraceno tipici del Giappone: sono popolarissimi e vengono consumati sia caldi, sia freddi in ristoranti specializzati. Vengono mangiati tradizionalmente a Capodanno come simbolo di buono auspicio e sono il pasto comune di chi trasloca.

Esistono moltissime varianti nella composizione dell’impasto dove le percentuali di grano saraceno variano in rapporto ad altre farine, questo particolare è molto importante per chi soffre di celiachia che dovrebbe accertarsi di ordinare soba 100% di grano saraceno. Oltre alla farina di frumento o di orzo, vi sono anche aggiunte sfiziose come il matcha (che dona alla soba un bel colore verde), la patata dolce, l’amaranto, la quinoa,  o,  come in questo caso, funghi shiitake.

Tra le infinite ricette fredde (rigorosamente FREDDE) ho scelto la Zaru Soba: spaghettini freddi serviti su una stuoia (zaru) che funge da colino e che andranno intinti in una salsa gustosa.

Per completare il pasto bisogna dire che la scelta più golosa doveva ricadere su una croccante tempura, ma con questo caldo non ho avuto il coraggio di mettermi a friggere; se invece siete dei temerari il mio consiglio è di provare con una classica tempura di gamberoni: DELIZIOSA!

Così, visto il periodo, mi sono fatta ispirare da un’altro piatto estivo: i somen. Questi spaghettini finissimi vengono serviti fluttuanti in acqua ghiacciata da dove si pescano con le bacchette per essere intinti in una gustosa salsa e, di solito, vengono accompagnati da verdure fresche, uova e prosciutto cotto. I somen sono anche il piatto tipico per il festival di Tanabata che si festeggia il settimo giorno del settimo mese.

diverso impiattamento: porzioncine già preparate e decorazione di nori per Tanabata

Chiunque abbia una solida cultura pop, specie riguardo agli anime e ai manga, non può non ricordare il classico festival estivo dove i protagonisti vestono lo yukata (il kimono estivo), vanno in giro per bancarelle e appendono ai rami di bambù bigliettini colorati con i loro desideri.
Tanabata si festeggia il settimo giorno del settimo mese: quindi per chi segue il calendario solare il 7 Luglio, per chi invece quello lunare il 28 Agosto (data però che cambia ogni anno). E’ un festival mutuato dalla tradizione cinese (festival di Qixi) e può essere considerato una sorta di San Valentino con al centro una struggente storia d’amore. La leggenda narra della figlia dell’Imperatore del Cielo, Orihime (identificata con la stella Vega) instancabile filatrice che fa una vita da sarta stacanovista degli abiti divini: un giorno il padre decide di premiare questa sua devozione combinandole il matrimonio con Hikoboshi (identificato con la stella Altair), il bovaro delle stelle, anche lui stacanovista. L’amore scoppia impetuoso ed entrambi si dimenticano di ottemperare ai loro doveri; questo lassismo provoca l’ira dell’Imperatore che decide di separare i due sposi con il fiume impetuoso della Via Lattea. Orihime si dispera, piange in continuazione e le sue lacrime si trasformano in pioggia; lo strazio è tale che l’Imperatore mosso a pietà concede ai due innamorati di incontrarsi un giorno l’anno: uno stormo di gazze formerà un ponte volante sopra il fiume e, se il tempo lo permette, i due potranno riabbracciarsi.

Mi sono divertita a mettere nel piatto i 5 colori tradizionali giapponesi: verde, rosso, giallo, bianco e nero; ho sostituito il prosciutto cotto con un delizioso prosciutto crudo e invece delle listarelle di frittata ho tagliato delle uova sode in onore della luna piena. Il dashi (brodo) usato per la tsuyu è un kombu mizudashi, una sorta di tè freddo di alga, che va a sostituire il più comune dashi a base di pesce: il piatto così preparato e con la sostituzione del prosciutto e delle uova con un’altra proteina è l’ideale per una dieta vegana.

La tecnica per assaporare al massimo la Zaru Soba è: assagiare qualche spaghetto per valutarne il gusto, insaporire di conseguenza la tsuyu con il cipollotto e gli altri aromi (il wasabi può essere messo sulla punta delle bacchette invece che nella tsuyu), prendere una porzioncina di spaghetti con le bacchette, intingerla per 2/3 nella salsa, portare alla bocca e “risucchiare”! Il rumore che ne scaturirà non è affatto maleducato in Giappone, anzi è altamente consigliato per esaltare tutti i sapori che, veicolati dall’aria, si propagheranno anche al naso.

Ovviamente propongo in abbinamento un tè freddo giapponese, magari un Sencha preparato a freddo, mentre Alba propone un Riviera Ligure di Ponente Pigato, vino dall’assaggio avvolgente che indugia tra morbidezza e garbata sapidità.

Valeria

 

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Pad Thai con gamberi freschi

Complice il fatto che sabato è stato il Capodanno cinese, molte catene della grande distribuzione organizzata hanno dedicato una sezione decisamente più ampia ai “cibi asiatici”: così ho trovato facilmente delle chicche per le quali, di solito, vado negli alimentari etnici.

Tra queste direi che il bottino più plateale è stato un vasetto di concentrato di tamarindo!
La salsa di tamarindo, con il suo netto sapore acre, è una degli ingredienti principali della cucina indiana e tailandese, ma non è così facile trovarla nei comuni supermercati.

Detto questo, il passo successivo è stato decidere cosa preparare e la scelta è caduta sul piatto probabilmente più famoso della cucina tailandese: il Pad Thai.
Il pad thai è un cibo di strada, cucinato in baracchini ambulanti da abili cuochi su enormi piastre e servito a portar via o con la possibilità di goderselo su un tavolino assieme a ulteriori condimenti e a una bella fetta di fiore di banano. Tradizionalmente si cucina utilizzando gamberetti essiccati e daikon conservato, ma non avendoli, ho sostituito i crostacei con quelli freschi e ho eliminato il ravanello; non ho fatto proprio un’eresia, infatti il pad thai è talmente famoso che in giro per il mondo si è scesi a parecchi compromessi per cercare di adattarlo alle cucine locali: gamberi freschi, pollo o solo tofu sono le varianti più gettonate.

Altro ingrediente fondamentale della cucina tailandese è la salsa di pesce: è il condimento principe di questa cucina e versato praticamente ovunque. Anch’esso non troppo facile da trovare, devo dire che ormai da anni ho raggiunto una mia personale pace sostituendolo con la colatura di alici nostrana: la trovo perfetta e dona una nota italiana ai piatti tailandesi.

Il gusto del pad thai deve essere un perfetto equilibrio tra il salato, l’agro e il dolce: in patria questo equilibrio è tenuto su dei toni molto forti, ma nel preparare la salsa ho cercato di mediare; voi regolatevi secondo il vostro gusto ricordando che nella ricetta tradizionale il salato è apportato dalla salsa di pesce, ma anche dai gamberetti essiccatti e dal daikon conservato che qui mancano.

Per il piccante, come al solito, ho voluto lasciarvi un po’ carta bianca e suggerirvi 3 spezie diverse da poter utilizzare separatamente o in contemporanea per dare una nota più vivace al tutto (p.s.: ovviamente in patria è bello piccante!).

Per gli spaghetti di riso una precisazione: non sono quelli del ristorante cinese! Quelli a cui siamo abituati sono più simili a dei vermicelli, lunghi e sottilissimi, mentre per il pad thai solitamente vengono usati dei veri e propri spaghetti o delle tagliatelle di riso, che vengono ammollati in acqua calda per farli diventare flessibili e molto al dente e così poi cuocerli in padella senza che scuociano. Nei negozi etnici ne esistono di varie fatture e con varie istruzioni (ad esempio i miei andavano proprio cotti in acqua bollente e poi passati sotto l’acqua fredda), ma sono quasi sicura che anche usare della pasta di riso nostrana tenendola molto al dente può regalare qualche soddisfazione.

Come abbinamento provate il pad thai con una bella tazza di tè verde, magari un Sencha giapponese che esalterà il gusto marino del piatto e vi aiuterà a diluire i toni forti della salsa o, se siete amanti del tè nero, con una tazza di Nilgiri che ben si sposerà con il tamarindo.

Alba consiglia in abbinamento un Riviera Ligure di Ponente Vermentino, vino bianco morbido, gradevolmente fresco e sapido.

Valeria

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Ruota di quinoa al tè verde con zuppa di fave e funghi alla menta su carpaccio di barbabietola al cocco

Il 2016 sta per finire e la ruota dell’anno gira inesorabilmente verso il 2017 portando a termine, continuando e avviando tutto ciò in cui ci siamo impegnati: l’augurio di Passioni da Bere è che questi sforzi siano per voi fonte di felicità! 🙂

Così, pensando a un piatto che mi ricordasse questo continuo scorrere del tempo, ho immaginato una ruota (forse infuocata) che riunisse in sé moltissimi elementi e ne è uscita questa creazione vegana che racchiude diverse consistenze, diverse temperature e diversi sapori.

A mio avviso questa ricetta può essere tranquillamente vista come un antipasto se produrrete delle “piccole ruote” o un primo (forse anche un piatto unico) per chi decidesse di creare due grandi ruote.

Abbinate questa ruota di buon augurio con una tazza di Darjeeling First Flush che con le sue note vegetali ben si abbina alla complessità del piatto.

Valeria

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Tortini di alici, patate, pomodori secchi e misto aromatico

Siamo sul finire dell’estate, i piovaschi di fine stagione rinfrescano l’aria e l’accendere il forno torna lentamente a riaffacciarsi tra il ventaglio delle possibilità mentre armeggiamo in cucina.

Potreste allora proporre per cena questo piatto presentato in accattivanti monoporzioni come antipasto o come secondo leggero.

Scoprirete uno scrigno che racchiude all’interno un’alternanza di sapori decisamente mediterranei che vi condurrà difilato sulle spiagge o nei borghi marinari dove avete lasciato frammenti di ricordi e cocci di emozioni da ricomporre.

E visto che siamo a settembre e dunque alle prese con la lista dei buoni propositi ricordiamoci che

mangiare pesce azzurro, ricco di acidi grassi omega-3, apporta indubbi vantaggi dal punto di vista nutrizionale.

Suggerisco in abbinamento un Riviera Ligure di Ponente Vermentino, vino bianco tratteggiato da invitanti richiami di fioriture estive e mela croccante, morbido e agile al gusto, ben delineato da piacevole freschezza e gradevole sapidità.

Per questo piatto dalle note marine Valeria consiglia in abbinamento un bicchiere di Sencha, tè verde giapponese che ben si allinea con il gusto del tortino.

Alba

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Tortini di alici, patate, pomodori secchi e misto aromatico

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Tagliatelle al sugo di sgombro

Un sugo che sa di mare e che non vi farà rimpiangere quello al “tonno in rosso” fatto con la scatoletta.

Lo sgombro è un pesce azzurro molto conosciuto nella cucina tradizionale tanto da avere migliaia di ricette a lui dedicate: la sua carne è compatta e gustosa sia cotta che cruda.

Semplice e veloce questo condimento sarà più semplice se vi farete aiutare dal vostro pescivendolo di fiducia: chiedetegli di ricavare direttamente dal pesce fresco i filetti, in modo che a voi rimarrà solo l’onere di controllare l’eventuale presenza di spine residue.

Per la pasta trovo che le tagliatelle siano fantastiche, ma orientatevi anche su altri formati, magari più fini, per esaltare ancora di più il gusto del sugo.

Abbinate a questo piatto un bicchiere di Sencha freddo, che con le sue note marine esalta il gusto del pesce.

Valeria

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Spaghetti di Gragnano con colatura di alici di Cetara

Mia madre festeggiò il suo matrimonio nel 1972 a Raito, in uno splendido hotel a picco sul mare.

Dalle foto sbiadite sembrava felice.

Allora a Raito ci sono voluta tornare anch’io facendo una bella passeggiata in salita dal centro di Vietri respirando a pieni polmoni l’odore dell’acqua salata, degli agrumi e delle ginestre.

Un weekend tra i borghi della costiera amalfitana lusinga la vista, appaga la gola, mette ordine nei pensieri spettinati.

SONY DSCA pochi chilometri da quest’incanto sorge Cetara, splendido borgo di pescatori, dove vengono lavorate le alici per produrre la famosa colatura.

Questo pregevole liquido trasparente e ambrato, viene ricavato appunto da un processo di maturazione delle alici, della durata di 4-6 mesi, in una soluzione satura di sale.

Ne bastano poche gocce per esaltare il sapore di preparazioni semplici a base di pesce o verdure come la pasta con le vongole, i calamari ripieni, il tradizionale mallone o le puntarelle.

Se vi viene voglia del classico spaghetto aglio, olio e peperoncino, l’aggiunta di colatura di alici sarà la vostra firma, il vostro tocco originale.

Ma non comprate la colatura di alici nei negozi di gastronomia delle grandi città, piuttosto prenotate un fine settimana in un intimo b&b fuori stagione e acquistatela sul posto magari preparata artigianalmente. Vale il viaggio!

Due accorgimenti per uno spaghetto con la colatura fatto con tutti i crismi: il condimento va lasciato insaporire rigorosamente a crudo e l’acqua della pasta non va salata.

Una scorza di limone d’Amalfi grattugiata completerà il quadro se volete proprio sentire il profumo della costiera.

Per questo primo piatto dai toni salmastri suggerisco in abbinamento un Greco di Tufo, vino bianco caldo e sapido bilanciato da una buona acidità, con rispondenze di mandorla nel finale.

Valeria invece suggerisce un bicchiere di Sencha, tè verde giapponese che esalta il gusto marino del piatto.

Alba

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