Lanzhou Beef Noodles

Tra l’avvicinarsi del Capodanno cinese e le temperature massime che sfiorano i 3°C (almeno qui in Emilia) è venuto quasi naturale preparare un piatto che riscaldasse fin dentro le viscere, così mi sono messa al lavoro per cercare di riprodurre una delle pietanze più famose della zona di Lanzhou: il ramen!
Ok, mi rendo conto che molti siano confusi e abbiano subito pensato al Giappone, ma la tradizione della pasta, e in particolare dei tagliolini in brodo, è talmente antica che molti pensano che il Giappone l’abbia mutuata dalla Cina: “ramen” infatti potrebbe essere una traslitterazione di “lamian” il nome di questi particolarissimi tagliolini tirati interamente a mano.
Altro momento di panico…in questa ricetta non vi obbligherò a farvi la pasta in casa, anche perché per produrre dei VERI lamian in stile Lanzhou bisogna essere dei maestri e avere le braccia forti! 😉
L’unica cosa che vi chiedo è di cercare di trovare dei tagliolini per ramen (nei negozi etnici o dal BIO) a base di farina di grano tipo 00 che non siano quelli istantanei (di solito “conditi” con aromi e additivi): la particolarità di questi tagliolini è che cotti propriamente al dente rimangono leggermente “gommosetti”.

Una ciotola di ramen di Lanzhou racchiude, oltre al gusto, storia e filosofia.
La sua particolarità di essere preparata con carne di manzo e non di maiale (come succede molte volte per i tagliolini in brodo) risiede nel fatto che la zona di Lanzhou ha un’alta concentrazione di cinesi di religione mussulmana: nella ricetta originale antica infatti la carne di manzo era affiancata a quella ovina e il sontuoso mix di di spezie ne smorzava il gusto intenso.
Il piatto deve presentare chiaramente diversi colori in modo da appagare anche la vista: il chiaro del brodo, il bianco del daikon, il rosso del peperoncino, il verde del cipollotto e del coriandolo, e il giallognolo dei tagliolini.

Corine Tiah, nel 2015, è una studentessa in Comunicazione di Singapore che partecipa al concorso “Looking China 2015” con un documentario di 10 minuti intitolato “A Bowl of Lanzhou Beef Noodles”: il cortometraggio, tra i migliori presentati, ha un taglio quasi antropologico con le interviste, il cambio culturale, la prospettiva. Il mio consiglio è di prendervi questi 10 minuti e guardarlo: il video è sottotitolato in inglese (quindi niente paura).

Ma torniamo alla nostra ricetta: tutti gli ingredienti sono reperibili in Italia! Io li ho comprati qui! 😉
Il mio consiglio è di farvi un giro, oltre che in un alimentare etnico o dal Bio, anche in erboristeria: quasi tutte le spezie intere si possono agevolmente acquistare in questi negozi e, di solito, a prezzo minore e con una maggiore freschezza.
L’utilizzo del coriandolo fresco non a tutti piace (al mio ragazzo ben che meno) quindi potete anche ometterlo! 😉

E quindi arriviamo al caso del BRODO DI POLLO. Tra gli ingredienti vedrete che c’è 1 litro di brodo di pollo, ma che non ho specificato come sia fatto, questo perché (come avete visto nel filmato) in famiglia si usa quello già pronto, per intenderci quello fatto con il dado (con tanto di glutammato). Per i detrattori questa è una eresia, ma per chi volesse un sapore più “cinese” l’utilizzo del dado per fare il brodo di pollo non è da scartare. Se, per qualsiasi motivo, decideste di non usare quello già pronto, potete prepararne uno utilizzando scarti di pollo o la carcassa del pollo arrosto del giorno prima (non servendo la carne è la scelta migliore).

Infine una nota sull’olio piccante: ovviamente più l’olio rimarrà a contatto con il peperoncino più il gusto sarà intenso, quindi prima di prepararlo regolatevi sulla tolleranza dei commensali e gestite la quantità e l’intensità di conseguenza. (P.S.: se l’olio piccante non piace per niente, aggiungere alla ciotola qualche goccia di olio di sesamo non è una cattiva idea: non sarà tradizionale, ma è molto “cinese”!).

Scegliete in abbinamento un buon tè rosso cinese come lo Yunnan per sostenere la complessità aromatica del brodo e il gusto della carne.

Alba propone in abbinamento un calice di Barbera d’Asti che accarezza il palato con tannini sottili e lo gratifica con un fresco e lungo finale aromatico e ammandorlato.

Valeria

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“Gyutan Ramen” fusion

Perché uso la parola fusion e che cosa è la cucina fusion?
Iniziamo dalla definizione. La cucina fusion fonde nelle sue ricette elementi di diverse tradizioni culinarie dando vita a qualcosa di nuovo; il termine risale agli anni ’70 (quindi niente di recente), ma possiamo ben immaginare che la cucina fusion esista da quando l’uomo ha iniziato a viaggiare e a spostarsi. Fusion può essere l’accomunamento di cucine geograficamente vicine (ad esempio cinese, giapponese e thailandese o texana e messicana) oppure la fusione creativa di cucine lontane (è fusion la pizza in stile Californiano e la Taco pizza).

Mi rendo conto che gli ultimi due esempi vi hanno un po’ scosso quindi vi lascio un attimo per riprendervi.

Come i fans sanno, sono abbastanza radicale su alcune cose (la ricetta del Pesto è un inno alla territorialità) per questo non me la sento di spacciare per “autentica” una ricetta quando palesemente non è fatta in modo canonico; se poi utilizzo elementi italiani in piatti che non lo sono allora diventa fusion.
La fusion dapprima è stata osannata, poi demonizzata, infine accantonata, dal canto mio apprezzo sia la cucina fusion che quella originale, basta che ci sia sincerità e qualità: non spacciarmi per vero qualcosa che non è e già mi stai simpatico!

Tutto ciò che c’entra con il piatto di oggi? Oggi vi presento la fusione tra un piatto della cucina giapponese e uno di quella italiana: la combinazione tra il Gyutan Ramen e il Lesso del brodo.

Il ramen è un piatto della cucina giapponese, probabilmente mutuato dalla cinese, e si compone di solito di tagliolini di farina di frumento, immersi in un brodo insaporito da una salsa e da un qualche tipo di olio e sormontati da diversi ingredienti.
“Gyutan” identifica la lingua bovina ed è formata dalla parola giapponese Gyuu=bovino e da quella anglo-giapponese tan=tongue=lingua. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante la dura occupazione del Giappone da parte delle forze Alleate, cibi come la carne erano semplicemente irraggiungibili, così leggenda vuole che un uomo decise di recuperare le lingue bovine scartate dalle forze americane, cuocerle alla griglia e venderle: fu subito un successo! Ancora oggi la lingua è apprezzata alla griglia, ma si possono trovare anche servizi diversi come l’aggiunta al ramen.

La lingua è anche uno degli ingredienti principe per la preparazione del brodo, quello per intenderci, che andrà a completare il piatto di tortellini o cappelletti e si ritrova nel ricco piatto del lesso servito, generalmente, ripassato per donargli sapore. Classificata nel cosiddetto Quinto Quarto (le frattaglie e le parti meno nobili) viene un po’ snobbata e alla fine avanza sempre (a meno che non abbiate un commensale appassionato). Il quinto quarto, nell’ultimo paio di anni, è stato rivalutato anche a livello d’élite entrando nelle cucine stellate e non rimanendo più rinchiuso tra quelle povere.

Il “Gyutan Ramen” fusion nasce quindi come piatto di riciclo della lingua lessata e di un po’ di brodo avanzato, ma in caso voleste partire da zero, nella ricetta spiegherò anche i passi precedenti.

Per rimanere nell’idea fusion vi suggerisco di assaporare questa ciotola fumante con un tè cinese Gunpowder se preferite un verde deciso e “facile” oppure di completare l’esperienza con una complessa tazza di Tie Guan Yin, oolong cinese dalle note floreali.

Alba suggerisce in abbinamento un Barbera d’Alba, vino rosso dal sorso fresco e delicatamente sapido con tannini garbati.

Valeria

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Passatelli in brodo

Nel robusto panorama gastronomico romagnolo, questa minestra in brodo, spicca per la sua semplicità, oltre che per la sua squisitezza.

I passatelli sono una deliziosa bontà che vale la pena imparare a cucinare.

Si tratta di una pasta della tradizione che nasce da un impasto base di uova, parmigiano e pane raffermo grattugiato che prevede, nella versione originale anche l’aggiunta di midollo di bue.

Se decidete di utilizzare anche questo ingrediente, dovrete lavorarlo a crema con una spatola per ammorbidirlo ed poi amalgamarlo all’impasto.

Bisogna prestare attenzione agli ingredienti che nella loro essenzialità devono essere ottimamente scelti: vi consiglio di usare un Parmigiano Reggiano Dop, magari stagionato 36 mesi.

Inoltre è essenziale che il pangrattato sia stato preparato col pane comune: se fatto con panini al latte o all’olio, i passatelli si sfalderebbero in cottura.

Per realizzare questa pasta è richiesto l’uso dell’apposito “ferro da passatelli” che verrà posto sopra all’impasto e pressato in modo che dai suoi fori fuoriescano dei cilindretti ruvidi di pasta che andranno tagliati alla lunghezza di 4 cm, secondo i dettami della tradizione.

In alternativa si può adoperare, con ottimi risultati, uno schiacciapatate a fori larghi.

Suggerisco in abbinamento un Colli Bolognesi Pignoletto Superiore, vino bianco sapido, fresco che chiude con ritorni fruttati e refoli minerali.

Valeria invece suggerisce un semplice Nilgiri, magari servito freddo, per non sovrastare la delicatezza del piatto.

Alba

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I FONDI: Il Fondo Bruno di Vitello

Che cosa è un fondo?
Il fondo è una sorta di brodo creato facendo bollire molto a lungo degli elementi nutritivi di carne o pesce (i famosi “scarti”: ossa e parature di carne o lische e ritagli di pesce o crostacei) insaporiti con elementi aromatici come verdure e spezie.

Per ottenere un ottimo fondo è importante scegliere elementi nutritivi ricchi di collagene, optando per animali giovani. Rivolgetevi al vostro macellaio di fiducia: nel retrobottega hanno sempre le ossa e le parature scartate.

Serve a bagnare tutte quelle preparazioni che hanno bisogno di una sferzata in più durante la cottura come ad esempio i brasati, ma soprattutto è la base per creare deliziose salse madri.

Un’operazione importante è quella di sbianchire la carne, ovvero immergere per alcuni minuti in acqua bollente gli elementi nutritivi per “spurgarli” da eventuali impurità e poi passarli sotto l’acqua fredda, per poi iniziare la preparazione vera e propria.

I fondi si possono inoltre dividere in due grandi categorie: i fondi bianchi e quelli bruni.

I fondi bianchi sono di colore chiaro e possono essere di carni come il pollo o il vitello, di pesce (fumetto) o vegetariano (verdure + spezie).

I fondi bruni invece derivano da carni come l’agnello, la selvaggina o lo stesso vitello, ma la loro caratteristica risiede nel colore scuro dato da un arrostimento delle ossa e delle parature e da un sapore più deciso.

Se i fondi bianchi possono essere famosi per il loro utilizzo quotidiano, quelli bruni rimangono in quell’alone di mistero che è la grande ristorazione, ma con un po’ di tempo è possibile creare il proprio fondo ad uso e consumo delle nostre ricette.

I fondi inoltre, una volta cucinati, possono essere conservati, ben chiusi, ad una temperatura di 1-3°C per 2 giorni: questo permette di prepararli in precedenza ottimizzando i tempi.

Di seguito la ricetta passo-passo del Fondo Bruno di Vitello ideale per carne brasata, umidi e salse brune.

Gli elementi aromatici sono indicativi e possono essere cambiati a seconda delle vostre esigenze: provatelo anche aggiungendo porri, cerfoglio, dragoncello e rape.

Il sale è opzionale: regolatevi a seconda degli usi a cui il fondo è destinato. In caso voleste usarlo calcolate che il liquido si ridurrà parecchio, quindi non supererei il cucchiaino di sale grosso.

Valeria

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